Guerra

Lontana è questa guerra agli occhi del mondo, lontana è la storia che scende allo spronfo.

Lontana è la guerra ripetono le mamme, lontana non proprio, è lì alle nostre porte.

Lontana è la guerra gli orrori, gli abusi, sono solo nel computer e nei telefoni chiusi.

Lontana è la guerra e la lotta fratricida che di nuovo riappare, storia trita e ritrita.

Un capitolo nuovo o uno vecchio che torna, la guerra è lontana mi rassicuro ogni volta.

Lontana da cosa però non so bene, non dal mio stomaco, dalle lacrime e dall’orribile male.

Non dall’ansia dalla paura e dal grande timore che è vicina la guerra al nostro stivale.

Lontana è la guerra ripetono le mamme, con il terrore negli occhi di chi vede e poi tace.

Siamo qui tutti colpevoli per l’ennesimo disastro, a far i conti con la coscienza che non è affatto apposto.

Siamo tutti “cattivi” noi vivi e sani, abbiam la colpa di tacere e anche di respirare. Chi non parla è crudele ma chi si schiera è un infame, lontana è la guerra per chi aspetta Natale.

Le brutte foto.

Ho una cartella foto sul telefono che si chiama EDAI dove metto gli amici. Quando mi scrivono cose carine, quando mandano gli auguri di natale, quando facciamo videochiamate, faccio screenshot.

Ce l’ho da un pò e quando mi girano i coglioni la scorro. Sono foto orribili nella maggior parte dei casi, tanto da farmi sorridere. Servono foto brutte a questo mondo. A tutti noi, servono foto brutte dove sei costretto a immaginare quel attimo di felicità che c’è dietro il doppio mento, l’occhio socchiuso il capello arruffato. E servono le foto brutte che ricordano anche il brutto del mondo.

Servono al mondo le foto sfuocate, con la grana grossa grossa.

Non per un chè di nostalgico, ma per ricominciare a esercitare la mente alla realtà del brutto. Sono fermamente convinta che questa mania di estetica, di bellezza, di ordine, di servizi di piatti giusti e belli, e case ordinate, con letti rifatti e foto instagrammabili. Sono certa alla fine che Instagram stesso stia lì solo per darci l’illusione che questo mondo stia meglio, stia evolvendo, sia più bello.

Nella pia illusione che se i nostri feed sono puliti e ordinati, se le foto dei figli, degli amici, delle serate a ballare, sono belle. E’ bella anche la nostra vita. E è bello anche il mondo.

Ho un amica lontana , che qualcuno dichiara anche matta, che su instagram non pubblica il bello, ma il vero. Quando scorro il suo profilo, ho una sorta di imbarazzo, un sudore freddo. Mi vergogno, delle mie foto di vacanze e visi patinati.

Abbiamo un gran bisogno di foto brutte. Per esercitarci dinuovo a vivere e a vedere la realtà.

Lettera Di compleanno 16. Guelfo 9.

Scrivo la tua lettera di compleanno, rigorosamente in ritardo, da un appartamento in prestito con vista sui grattacieli di Manhattan. Una vista ipnotica alla mia destra mi permette finalmente di  rallentare e guardare la vita che scorre. 

C’è gente che cammina nei grattacieli di fronte a noi, cucinano, qualcuno è a letto. Di base in questa città dove, mi è sempre sembrato, tutti ironicamente si sentono un pò soli e anche al centro del mondo, nessuno ha il tempo di farsi i fatti del vicino. 

Nessuno, se non i turisti che passano qualche giorno a guardare attraverso i vetri senza tende e persiane dei grattacieli che li circondano. Qualcuno come me. 

Sei qui, in uno stato di agitazione che è quasi il doppio del solito e contenerti è impossibile. Ma non mi arrendo, a volte mi accascio, stremata, pensando che sia semplicemente troppo, ed è in quei momenti che ti fermi, perché tu sai che il limite è stato superato. 

Sei cresciuto e in questo anno hai sfidato ancora di più sia me che tuo padre, una goccia cinese per vedere fino a che punto potessi tirare la corda. La novità è che adesso, quando si spezza chiedi scusa. Sentitamente. 

Facciamo piccoli passi avanti per cercare di integrarci in questa società che sembra fatta apposta per farti sentire fuori luogo. Cerchiamo di trovare la quadra, io e te, a regole sociali e convenzioni che effettivamente viste con i tuoi occhi , sono decisamente senza senso. Studiamo un sacco, che questa fame vorace di informazioni quasi ci travolge e poi ti pungolo nel cercare di accompagnare anche un po’ di esperienza reale. 

Così eccoci qui nella grande mela con tutti e 3 i fratelli, a insegnarti che l’ignoto è meraviglioso, che l’imprevisto e il fuori programma fanno parte della giornata. 

E oltre al fuso orario, oggi mi hai travolto di abbracci e di baci e di grazie e di sorrisi per questa nuova avventura che a te, e anche me in effetti come questa città, sembra enorme.

Stanotte, svegli a orari improbabili ti sei infilato nel letto hai guardato le luci fuori dalla finestra e mi hai chiesto: “mamma , ma tu sei emozionantissima?”. 

Ho risposto “Sì, tantissimissimo”. Ci siamo dati 3 abbracci fortissimi e poi mi hai ordinato di dormire ancora un pò, “che se no domani non ce la facciamo a camminare tanto”.

E adesso dopo la prima giornata di camminata a testa in su, seduti a guardare la magia di questa vista incredibile ti guardo e sì, sono emozionantissima, di un nuovo anno insieme. Di quest’ultimo anno a una sola cifra. Di vederti ostinatamente te, dei tuoi sorrisi, rari ed enormi, della tua invadenza, del tuo essere sempre e comunque fuori tempo, fuori luogo. Del modo in cui mi costringi, ci costringi ,a vedere il mondo fuori dai nostri schemi, a oltrepassare i nostri limiti.

Sì sono emozionata per i prossimi giorni. Per la vita che corre via veloce e che in uno strano ed ironico scherzo del destrino, mi ha regalato te che, nel tuo moto perpetuo, nei tuoi perché, nei tuoi cambi di umore, nei tuoi modi rudi, aggiusti ogni giorno pezzi di me che si erano rotti quando non eri neanche una possibilità.

Buon compleanno Guelfo, che questi 9 anni ti regalino tutto quello che NON vuoi. Che Babbo Natale ci faccia compagnia, speriamo, anche il prossimo anno, che la magia e la meraviglia del mondo ti accompagni ancora per un pò. 

Io e papà ci siamo. Non cambiare anche quando esasperati ti diciamo che devi.

Con amore mamma.

Fallimenti programmati e vittorie certe.

Regola N1. Ad ottobre di ogni anno dichiara fallimento. Ti sarà di grande aiuto.

Un tempo mi sarei solo resa conto che la sessione d’ esame di settembre era andata a farsi friggere o, parlando della preistoria, che il buon proposito di cominciare bene l’anno scolastico si era rivelato un effimero pensiero tra l’ ultimo bagno al mare e l’ottobrata monticciana.

Nei primi anni da madre, il vano tentativo di organizzare l’anno mi ha visto soccombere addirittura a settembre. Adesso preparo le carte per la corte marziale (giudici anni 11 e 9) già ad Agosto. Sia chiaro, ho sempre la ferrea volontà di passare per quel processo di elaborazione del fallimento (personale e non economico) che è propria solo del genere femminile*.

Ma pare che il 2022 mi riservi delle sorprese scoppiettanti. Così mentre la corte si ritirava a deliberare sono successe cose incredibili che potrebbero , a discapito di tutti i bookmaker, ribaltare la situazione:

Wondernonna si è dimenticata uno dei giudici a scuola. Ma non ritardo… proprio dimenticata tipo: “nonna dove sei?” – ” a casa perchè?” – “nonna dovevi venire a prendermi!”

10 punti a mamma che se li è dimenticati a scuola un sacco di volte, ma non ha mai ammesso il misfatto dando la colpa al traffico.

Programmare il proprio fallimento è abbastanza terapeutico. Hai modo di girare pagina lasciando vuoto lo spazio che di solito avresti occupato con i sensi di colpa. E quello spazio vuoto lì, quella assenza di colpa, quella è la vittoria più grande. E’ una vittoria certa.

In questo strano mondo che non capisco un granchè, dove tutto acquista un significato enorme ogni giorno senza che niente metta radici per più di 2 giorni le vittorie certe fanno bene.

Quel senso di leggerezza nel vedere da fuori la giostra che gira ma tu no. E’ un’emozione incredibilmente potente. Dichiarate fallimento, va bene qualsiasi mese dell’anno.

E passate a fare cose più divertenti.

*I maschi non lo sanno che la parola fallimento include anche sfere NON economico lavorative , non diteglielo.

Futuro Anteriore e la scuola media

E’ arrivato il tuo tempo descritto e agognato,

è arrivato il futuro che hai tanto decantato.

E’ oggi quel giorno di cui parli da sempre,

quel futuro così lontano che oggi è presente.

Alle 4 finisce il presente da bambino,

alle 5 il futuro diventa vicino.

Mi dicono gli altri che è stato veloce,

questo tempo elementare che sembrava feroce.

Non penso davvero che il tempo sia volato,

ho le rughe, son più vecchia, mentre tu sei maturato.

Il tempo così lungo l’ho sentito ogni giorno,

la fatica, la paura e la felicità tutta intorno.

Da domani un grande salto nella nuova avventura,

ma è il Futuro anteriore che oggi fà più paura.

Sarò stata capace di insegnarti la vita, o quanto meno,

sarò stata sufficiente nel mio compito ingrato

nel lavoro di madre dove commetto reato.

Il reato di assentarmi e lasciarti sbagliare,

troppo? troppo poco? in ogni caso andrà male.

Ma il Futuro Anteriore invece è tuo alleato,

quello semplice è andato, morto, archiviato.

Questa forma verbale ti darà sicurezza,

indica eventi, esperienze che avverranno con certezza.

Il futuro Anteriore te lo impongo da oggi,

per amare senza paura e coltivare nuovi sogni.

Fuori dal tubo.

Oggi sono di carta e penna per cause di forza maggiore.

Ieri, io, mani di burro, ho lanciato il telefono di piatto sul sanpietro Romano e si sà , il sanpietrino non perdona. Così dalle ore 20.30 di ieri sono fuori dal tubo. Attimi di smarrimento, ma giusto attimi e poi una sensazione di … e va beh pazienza ci penso domani.

Domani è oggi e del mio telefono restano poche cose da salvare aihmè. Giusto foto e rubrica perché ovviamente è TUTTO nel telefono. Backup recente, non pervenuto. Tempo stimato di ripristino delle funzioni digitali , dalle 2 alle 3 settimane. E sono qui con un vecchio PC (direi 8 anni/9 anni) da cui accedo all’esenziale: Mail, banca, dropbox.

Così mentre lavoro come si lavorava 10 anni fa, faccio l’elenco delle cose che vorrei fare.

Corso di panificazione selvaggia; che io sta’ cosa del lievito ancora non me la spiego. Dura 3 ore direi che posso affrontarlo in sostituzione dell’ora di cazzeggio sui social, sommata alla mezz’ora di lettura dei gruppi waap quotidiani, più le 2 ore di polemiche sulla chat di scuola.

Viaggio a cavallo lungo il tratturo del Molise. Sì lo sò non ha un cacchio di esotico, ma si fa , sono i vecchi sentieri della trasumanza e non potendo programmare nell’immediato futuro un viaggio in Montana, stufa di rimandare, ho scoperto che anche il tratturo del Molise può avere il suo fascino. AAA cercasi compagna di viaggio che il marito non ama l’equino.

Selezionare, stampare, e incollare le foto del 2021. Lo faccio tutti gli anni. È un buon esercizio di gratitudine nei confronti della vita. Scegliere, ordinare e poi incollare le foto una ad una è un processo che ti impone di tenere ogni attimo vissuto tra le mani per almeno 30 secondi. E se quel momento è su foto ci sono ampie possibilità che sia uno di quelli belli, per cui dire grazie. Ci sediamo vicini io e lui, a fare questo esercizio ogni anno, lui ordina io incollo, anche perché la mia memoria da pesce rosso non metterebbe in fila neanche gli eventi della scorsa settimana.

Ci sono stati anni in cui abbiamo riepito così tanti fogli, da dover incollare le foto vicinissime, quasi sovrapposte, per non doverne scartare troppe. E invece anni in cui le pagine usate dell’album erano davvero poche. Gli anni con poche pagine, una volta incollati tutti i pezzi si chiudono con un rituale quasi catartico. Io di solito sfoglio le pagine e ho la faccia contrita, quasi delusa, magari sospiro, Lui appoggia la sua mano sulla mia e mi dice: ” dove ti porto quest’anno?” È  una domanda che racchiude così tante promesse, così tanto impegno, così tanta pazienza, che ogni volta che accade, cancella la fatica e la delusione. C’è in quella frase un senso di aspettativa e promessa che implica non solo una garanzia di nuove avventure ma anche una consapevolezza unanime che è andata male, motivo per cui ci impegneremo entrambe a fare meglio. Di nuovo. Insieme.

Tutti dovrebbero stampare i loro grazie e tenerli tra le mani almeno una volta l’anno.

Fenomenologia della salvia fritta.

Vi siete mai chiesti perché quando le grandi famiglie si riuniscono si mangia senza sosta?

I pranzi familiari li hanno inventati perché è l’unico modo per tenere insieme le grandi, grandissime famiglie. A bocca piena tutto si svolge secondo strane energie cosmiche ed è la telepatia che regola le tensioni.
Con la bocca piena è difficile litigare, piangere, spiegare, discutere.

È un sorriso verso la macchina fotografica mentre mangiate l’ennesima salvia fritta che suggella il fatto che sì, in fondo, è tutto ok. Anche se di ok non c’è proprio niente in quel momento. E vorresti dire che dall’altra parte della barricata ci sei già stata. Sei stata già quella in mezzo alla guerra di bombe che espolodono accanto a te e dopo le prime 4 , non le senti neanche più. Che lo sai com’è sentire che è andato tutto a puttane. Ma in famiglia, le cose, non si dicono. Si sentono.

Si sente la sofferenza, e si fa finta che non ci sia. Si scacciano via i pensieri – non i tuoi – ma quelli di chi mangia la salvia fritta accanto a te. Per una sorta di osmosi e con la sola forza del primo, secondo, dolce , caffè e ammazzacaffè, si soffoca la sofferenza.

A questo servono quelle montagne di cibo alle riunioni familiare. A con-dividerlo. Io dalla parte sbagliata ci sono finita abbastanza presto. E ero arrabbiata che nessuno mi abbracciasse e mi dicesse – è tutto ok – ora passa. Ero arrabbiata di essere sola in mezzo alle bombe e anzi, spesso le bombe erano fuoco amico.

Poi la guerra cessa e tu sopravvivi, ti spolveri i pantaloni, aggiusti la camicia e sai cosa vuoi dalla tua di vita. Alle abbuffate di famiglia ci arrivi preparata. Sai che niente si dice, e che la quantità di cibo ingerita è direttamente proporzionale al problema.

Così, davanti a un piatto di salvia fritta, chi ti porge il bicchiere di vino e dice che è buona anche la melanzana ti sta dicendo che ti vuole bene. Se nel frattempo prendi un tovagliolo e lo porgi a chi ti sta vicino, per evitare il dramma macchia da olio di frittura, allora quel qualcuno saprà che ci sei, che è tutto ok. Che tutto passa.

Le grandi, grandissime famiglie viste dall’alto, sono semplicemente formate da micronuclei che hanno un componente di contatto. Tipo puzzle. Il tassello di incastro altro non è che un estroverso che si insunua nel micronucleo vicino, e fa da collante. Gli angoli e i lati, pur facendo parte dello stesso puzzle, non si parlano, non si incontrano e non hanno nulla a che spartire. Ma inevitabilmente concorrono tutti a comporre il mosaico, e cosa più importante di tutte a tenerlo in piedi. Si trovano di solito su posizioni diametralemente opposte su tutto ma restano lì a fare da cornice. Sono quei pezzi, tuttavia, che la salvia fritta non la assaggiano neanche per sbaglio.

“E quando li cattura una definizione…”

…il mondo è pronto a una nuova generazione” cit.Lorenzo

Ho la cartella delle bozze piena di roba che non riesco a pubblicare, la leggo e mi pare banale. Mi chiedo sempre prima di cliccare su PUBBLICA, se davvero ha senso CONdividere. Le rileggo – senza attenzione ai refusi lo so – ma le rileggo in modo maniacale, le cose che scrivo.

La cartella bozze piena di roba che non pubblico, cose banali, noiose, al limite del ridicolo. Ed è in giornate come questa che mi chiedo se non sia il caso di schiacciare semplicemente su invio e buttare tutto fuori, qui sull’Internet.

A volte mi perdono la noia e la banalità, soprattutto quando sfoglio riviste patinate di giornalisti/e serie che se ne escono ancora con cose tipo: LA “NUOVA GENERAZIONE E IL RAPPORTO CON I BOOMER”.

Ne avevo 16 di anni la prima volta che lessi su IO Donna un stronzata del genere.

Mi chiedo: davvero nel 2021 è necessario pubblicare la merda nelle bozze dei giornalisti? No, perché non posso credere che un direttore abbia esplicitamente chiesto a un giornalista di fare un pezzo generazionale.

Pensare davvero di poter scrivere qualcosa sui “giovani” mi pare una barzelletta. Lo sentite quanto suona male anche solo leggerla questa frase. Lo pensavo a 16 anni quando scrivevano “su di me” lo penso ora a 40. Questa insulsa tendenza a dimenticare, e liquidare chi sta vivendo quello che tu hai già vissuto è una cosa che mi manda fuori di testa. Io oggi di 16 – 20 enni ne frequento molto pochi, e le rare volte che succede, la sento la distanza che c’è. C’è un mondo che ci separa e quel mondo non è colmabile, non è incasellabile, non è comunicante. Siamo noi che guardiamo loro, loro a noi non ci vedono proprio. E’ come fossimo tutti invisibili.

Ed è giusto così.

Perché questa distanza generazionale andrebbe coltivata, la lontananza tra generazioni è un mondo di cose non dette, non condivise. Era un mondo fatto di regole non dette, quando ero io nella casella Pischella, regole che mi sono servite nella vita molto più di tante cose ripetute fino alla nausea. La distanza permette a loro – quelli nuovi – di scegliere la strada, e non per merito nostro, ma per demerito di chi da quella casella lì è già passato, e ha la pretesa di sapere come si sta.

Non è così. Loro sono lì adesso, ed è un mondo tutto diverso, così loro non capiscono i tuoi racconti perché il panorama è completamente cambiato. Immaginate la stessa sensazione che avete quando siete tornati in un posto dopo tanti anni. Il posto è lo stesso, la spiaggia non si è mica mossa. E anche il baretto è sempre lì. Ma non è più lo stesso. Non bisognerebbe mai tornare nei luoghi dove si è stati felici. Ti deluderanno inevitabilmente.

Stamattina leggendo l’articolo, ho pensato che ai giornalista e agli editori che tirano fuori dal cilindro delle bozze il pezzo generazionale andrebbe fatto un corso di – butta la bozza. Ve lo tengo io. Gratis.

Supponevo, stupidamente, che la mia di generazione avrebbe avuto almeno la lungimiranza di non farlo neanche il tentativo di compredere. Invece Generazione MZXY , boomer contro Millenial, caselle, definizioni, usi e costumi dei popoli della notte. Come nel libro di storia. Mentre leggevo ho avuto quasi l’istinto di sottolineare e ripetere ad alta voce…

Possiamo fare un patto? Accettiamo serenamente che NO non parliamo la stessa lingua che i loro 16-20 anni non sono i nostri. Che possiamo guardarli ma non possiamo capirli, non possiamo comunicare. Possiamo vivere di silenzi. Mentre loro pensano che siamo dei coglioni e noi pensiamo che non capiscono un cazzo.

E che a un certo punto sta cosa di scriverci sopra… la possiamo pure relegare agli storici quando scriveranno.

Era il 1992 io cantavo Tempo, di Jovanotti…. e quando li cattura una definizione, il mondo è pronto a una nuova generazione.

PUNTO.

PAROLE AL VENTO

Dovrei scrivere di te, ma guardo questo foglio bianco da giorni e non una parola esce dalla mia mente.

Dovrei prendere spunto dalle 5 lettere che ti definiscono e costruirti attorno un mondo, una giornata, un momento, un monologo.

O forse sarebbe meglio attingere a un ricordo lontano che ti ha come protagonista?

Meglio, ti inserisco solo come sottofondo, come accenno, come pretesto per un racconto più intenso.

E dove dovrei metterti poi? Al mare d’estate, come banale segno di libertà e felicità, come rappresentante di spensieratezza mentre scompigli i capelli di una bambina? O di una donna pensierosa?

Oppure in montagna, freddo, gelido e cattivo mentre ferisci la pelle di un uomo malato d’amore alla ricerca della sua unica metà.

Continuo a guardare il foglio e senza speranza mi arrendo al fatto che non so descriverti, non so “usarti” non so analizzarti. Non so far altro che ipotizzare incerte tracce che puntualmente cancello con ticchettio nervoso della tastiera.

E anche adesso mentre ti scrivo con il cuore aperto, mi sembra di vederti, che ridi sornione, soddisfatto per avermi messo in difficoltà.

Perché, mio caro vento, vento d’estate, vento freddo, vento di pioggia, vento di lacrime e sorrisi, vento di giorni felici, vento di giorni tristi, vento d’odio, vento d’amore; mio caro vento, non saprei cosa sarebbe stata la mia vita senza di te. 

Ti ho cercato da sempre, per alzare le onde, per gonfiare la mia vela; ho provato a domarti, ad amarti, ad odiarti. Sei in tutti miei giorni felici, sei in tutti i miei giorni difficili. E non c’è pioggia e non c’è sole e non c’è neve e non c’è ghiaccio che possa prendere il tuo posto.

Sei aria, vita e soprattutto, sei rinascita. Sei passato, presente e futuro.

De Gregori dice che “Pioggia e sole abbaiano e mordono ma lasciano, lasciano il tempo che trovano” e quel tempo sei tu, mio caro vento.

Allora resta con me ancora per i giorni futuri e ti prego, non smettere mai di girarmi intorno.

365 giorni fa…

Non sapevo cosa fosse un Coronavirus, quanto puzzano le mascherine chirurgiche, e non sapevo che ne esistessero di vari tipi, non sapevo cosa fosse L’RT né una curva epidemiologica.

365 giorni fa, non sapevo usare la piallatrice, non sapevo lavorare il legno, non sapevo di ricordare ancora l’analisi grammaticale tanto da insegnarla a mio figlio ma sapevo che la pazienza non è tra le mie doti.

365 giorni fa sapevo di avere un carattere di merda, e pensavo che quel carattere mi avrebbe salvata quando la merda sarebbe arrivata al collo. Sbagliavo.

Ci ripetono ossessivamente che siamo all’ultimo miglio, all’ultimo tratto di tunnel. Ma siamo tutti cosapevoli che ci stanno prendendo per il culo. Lo vede chiunque che oggi è il covid 19, domani sarà XCTR.

Sarà il 20 ennio delle pandemie, amplificate da morbose descrizioni e immagini di malati sui social media; malati mostrati senza alcun rispetto al mondo intero. Giornalisti invitati e inviati ancora oggi dopo 365 giorni nei reparti del dolore a sezionare i sintomi di chi suo malgrado forse non ce la farà. Senza alcun rispetto per la dignità del malato, nel nome di non si sa quale diritto di buttare in piazza un dramma senza precedenti.

Un racconto indegno, masochistico e immorale del dolore, del dramma. La tv del dolore. Solo che questo è un dolore che ci travolge tutti.

Il progresso, la globalizzazione, il movimento di noi tutti, ci ha presentato il conto. Ci ha tolto la libertà di muoverci, di respisrare, di viaggiare, di lavorare di sorridere, di cenare, senza morire o peggio senza rischiare di far morire chi ci sta accanto. Siamo tornati indietro nei secoli, dove se ti muovi, se stai fuori, rischi.

365 giorni di questa merda mi hanno ricordato e dato prova che l’uomo (in senso di maschio) davanti al dramma, al panico e all’imprevisto, salvo rare eccezioni, si paralizza. E il potere che detiene da secoli, e le posizioni di dominio che sfrutta, gli si sgretolano tra le mani, in un altalena perenne tra inadegutezza di chi non sa chiedere aiuto e supermachismo di chi pensa di poter sfidare il mondo, per ritrovarsi poi comunque dalla stessa parte. Dalla parte di chi ha fallito.

Che poi riducendo la faccenda ai minimi termini è sempre la stessa scena: noi che dobbiamo partorire i loro figli e loro che svengono.

365 giorni fa sapevo di avere amiche con le spalle larghe, adesso so che tutto possono. Sia quelle fuori dagli schemi sia quelle che sembra stiano seguendo una linea retta. Che poi la linea retta è solo una sensazione.

365 giorni non c’èra la Bertè che magistralmente riassumeva così il senso di tutto:

Sono il padre delle mie carezze e la mia madre delle mie sperienze, sono figlia di una certa di fama…sono una figlia di Lorendana…. col MASCARA e la Bandana… Tu che giudichi il mio cammino, prova a farlo su questi tacchi.”