Ora la chiamano resilienza.

Resilienza

“…le parole sono importanti, hanno il loro peso specifico, hanno una storia e vanno usate con criterio”

Concludo sempre così la mia personale filippica ai due nani quando per farsi grandi usano parolacce nei loro discorsi. La parte inziale è un grande classico della letteratura materna anni ’80: un ceffone se la parola è davvero grossa, uno sguardo fulmineo invece se è roba ti poco conto e l’incipit di chi li vuole far sentire in colpa i propri figli: ” lo sai chi usa le perolacce?”

La risposta arriva in coro: ” gli stupidi che non sanno esprimersi.”

Le parole sono importanti, hanno il loro peso specifico, hanno usa storia e vanno usate correttamente.

Va di moda la Resilienza da un pò. Ma adesso nel post-covid – che è Post solo in Italia visto che nel nel resto del mondo il picco è lontano – la resilienza è diventa la parola da usare in ogni frase e contesto.

Vorrei , prima di tutto, porre l’attenzione sul fatto che – non a caso – la Resilienza è femmina:

“Resilienza/re·si·lièn·za/sostantivo femminile

  1. Capacità di un materiale di assorbire un urto senza rompersi.
  2. .In psicologia, la capacità di far fronte in maniera positiva a eventi traumatici, di riorganizzare positivamente la propria vita dinanzi alle difficoltà, di ricostruirsi restando sensibili alle opportunità positive che la vita offre, senza alienare la propria identità.

“Sono persone resilienti quelle che, immerse in circostanze avverse, riescono, nonostante tutto e talvolta contro ogni previsione, a fronteggiare efficacemente le contrarietà, a dare nuovo slancio alla propria esistenza e persino a raggiungere mete importanti.” wikipedia dice così.

Arrivo dunque alla polemica del giorno. La Resilienza tanto citata è oggi nelle bocche di tutti, ma soprattutto di quella classe socio economica che tutto ha e sa, tranne davvero cosa voglia dire essere Resilienti.

Lo sento nei discorsi delle spiagge Radical Chic in bocca a uomini 40, 50 enni, residenti all’estero da quando ne ho adulta memoria, rimpartiati per l’occasione pandemica nelle loro villa Italiane. La loro resilienza, usata a sproposito per indicare la volontà di rifugiarsi nei borghi italiani (ma solo previa grosso miglioramento da parte dello stato italiano di connessioni e strade) e fuggire le caotiche città europee dove hanno cresciuto i loro figli.

La sento la resilienza, citata a casaccio per dire che ancora non ci sono programmi specifici per le vacanze di natale, che sai…”dobbiamo essere resilienti…”

La povera resilienza, confinata sulle spiagge del litorale toscano, e nei bei ristornati delle alpi che nauseabonda cerca di dirigersi da chi reliente lo è stato e lo sarà veramente.

Resilienti sono coloro che dai Borghi Italici non sono mai fuggiti, e non per mancanza di oppurtunità, ma per scelta. Che la vita luci e colori Londinese – Parigina non li ha travolti e ammaliati. Coloro i quali la bottega artigianale, e il cibo sano e la vita lenta, e sì spesso noiosa, dei piccoli posti l’hanno scelta da prima. Non dopo, aver fatto una scopracciata di caos e virus.

Resilienti sono i ragazzi del sud Italia che si inventano un lavoro onesto e restano al loro territorio, per proteggerlo e migliorarlo.

Resilienti sono coloro che in questo mondo ammalato aiutano convertendo le loro piccole produzioni, che fanno i volontari. Resilienti sono coloro che indossano una marcherina anche adescco che è estate, e che sono al mare, per rispetto di chi ha combattuto e non ce l’ha fatta.

Resilienti sono le donne di questo triste paese, come lo è la parola stessa.

Speriamo che il prossimo maschio bianco che cerca di pronunciare la parola a sporopsito si trozzi a tal punto da non volerma dire mai più.

Che la Resilienza è una parola di quelle importanti, e con un peso specifico che noi, quasi tutti, me compresa, non abbiamo idea di cosa significhi davvero.

L’Italia è morta, senza neanche un funerale.

Malata, da quando ne ho adulta memoria questa bella penisola, ormai neanche più tanto bella, in pochi mesi è morta definitivamente. Nel silenzio del suo popolo analfabeta e della peggior classe politica esistente tra le democrazie occidentali. Morta definitivamente di inerzia, vecchiaia e Cancro.

I medici (imprenditori), e gli infermieri (lavoratori) hanno fatto il possibile per salvarla, ma a nulla è valso il loro sforzo davanti alla completa incapacità di arginare un tumore con metastasi ormai espanse a tutti gli apparti e organi.

Partiamo dal cervello- governo, che da anni ormai è in totale assenza di sinapsi buone che siano capaci di fare il loro lavoro e popolato altresì da cellule malate, malsane, egoriferite, impreparate a trovare di comune accordo una linea guida per la comunicazione agli altri organi.

Passiamo poi per il sangue infetto che circola gonfio di droghe quali curruzione, burocrazia, miopia; sangue che ha finito di infettare, con la sua boria, con la sua incuria, con la sua mancanza di umiltà, preparazione, dignità anche tutte le parti del corpo d’Italia.

Finiamo quindi con una semplice frase: in Italia non funziona niente. Ma proprio niente.

Lo stato non c’è e quando c’è, meglio averne paura. La cultura è morta, anche quella, dimenticata, perché ormai vecchia. Ignorata, l’italica cultura, da tutti i paesi del mondo.

Le donne in Italia vengono uccise – quasi sempre in famiglia – come fossero carne da macello. Umiliate quando vanno al lavoro dove spesso vengono molestate, e se non vengono molestate vengono pagate comunque meno. Non hanno quasi mai accesso ai piani alti, e se arrivano ai piani alti non hanno potere decisionale, e se riescono per miracolo a prendere decisioni, poi non vengono ascoltate.

I bambini sono poi l’ultima ruota del carro. Non hanno una scuola dignitosa, non hanno insegnati qualificati, per loro non viene speso neanche un terzo di quello che spendono gli altri Paesi occidentali. Così si ritrovano, i bambini, senza una scuola decente, senza uno stato che li tuteli, con le mamme a casa come 100 anni fa e non istruiti.

Guardano una televisione dove le femmine sono cose, così le bambine desiderano diventare culo e tette, e i maschi sposare un culo e delle tette, possibilmente entrambe, ma va bene anche una delle due cose.

E’ morta l’Italia anche oggi: la scuola non partirà in anticipo come era doveroso fare e avrà i fondi sì aggiuntivi ma mai quanto quelli destinati invece a salvare ancora una volta Alitalia. È di questi giorni anche lo scandalo nella magistratura con poche compite parole del presidente Mattarella che povero, ma che deve dire ormai. Salta anche il taglio dei vitalizzi, sempre notizia di oggi.

E’ morta l’Italia per sempre, e noi con lei, babbei ancorati dietro una quotidianità perduta, senza il coraggio di imbracciare non dico un fucile, ma neanche un cartellone. Non c’è neanche da piangerla l’Italia morta, che poi, ma quando mai è stato un paese per bene? Mai, solo che prima, non usava dirlo.

Diceva il bisnonno: non farti, mia cara, soverchie illusioni.

Lo diceva bello, ma il succo quello è. Non ci sarà rinascita, perché l’Italia e noi italiani, siamo feccia. Speriamo i miei figli scappino al più presto.

Lezioni da quarantena

Son qui che quardo questo foglio bianco e penso che qualcosa da tutta questa esperienza dovrei aver imparato. Lezioni da quarantena. Invece mio malgrado mi trovo perfettamente d’accordo con chi un cervello più importante del mio ce l’ha, Massimo Cacciari, che ieri – o non so più quando – si scagliava contro questa mostruisità del buonismo ottimismo, del prendiamo il lato positivo della faccenda che popola la rete.

Il marketing di se stessi

Spiegatemi – ve ne prego – il lato positivo, del mondo chiuso in casa; il lato positivo di me e anche di te che leggi, privati di tutte le libertà, privati della possibilità di uscire, di lavorare, di scegliere una qualsiasi cosa. Dove sta il lato positivo dei bambini che non vanno a scuola? Dei bambini che sono chiusi nelle lore case terrorizzati che qualcosa possa succedergli?

Spiegatemi – ve ne prego – qual’è il lato positivo di sopperire a tutto questo dramma con corsi on line che prima non avevate mai fatto, e non per mancanza di tempo come dicono gli inguaribili ottimisti. Ragazzi su, non l’abbiamo mai fatto perché non ce ne fregava un cazzo di farlo; non abbiamo mai messo a posto casa perché preferivamo andare a bere una birra con gli amici piuttosto che buttare anche solo 10 minuti di vita a “mettere a posto”. Da quando mettere a posto è un occupazione piacevole? Possiamo paragonarla alla dichiarazione dei redditi come attività.

Spiegatemi – ve ne prego – qual’è la bellezza di questo tempo riappropriato, che riappropriato non è. Siamo chiusi, in carcere – non me ne vogliano i carcerati- senza libertà, cercando di riempire questo tempo che non si riempie mai. E di qualsiasi cosa lo stiate riempiendo, fosse anche la migliore letteratura Russa, questa non è una vostra scelta.

Il marketing di se stessi dicevo all’inizio della riflessione, dove annoiati e terrorizzati e intimiditi e abbrutiti cerchiamo in un like del prossimo l’approvazione, un conforto che ci dica: sei fico, sei ancora fico, sei in casa chiuso, non puoi scegliere dove andare, chi vedere, non puoi lavorare se non da solo e da dietro al tuo computer (se il tuo è un lavoro che si fa con il computer), ma non preoccuparti sei fico.

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Ansia da Prestazione.

Ho una domanda che mi risuona nella testa da un paio di giorni.

Non riesco a cancellarla, ad evitarla. E la domanda è: ma possibile che solo io sono immobile con il fiato corto a non far NIENTE?

No perchè vedo gente che cucina, vedo gente che fa ginnastica on line, vedo gente che fa aperitivi on line, chiamate di gruppo.

Vedo gente che studia, che legge, che mette in ordine , che partecia alle challenge su Instagram. Io sono ferma, immobile, paralizzata dal panico.

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Le lacrime delle 18.00

Tutti i giorni alle 18.00 mentre la protezione civile annuncia i morti, tutti i giorni c’è chi canta, c’è chi applaude, c’è chi suona. E’ un modo giusto, speciale, incredibile di farsi coraggio. Di sertirsi parte di qualcosa, un pò meno soli.

Le 18.00 sono diventate in pochi giorni l’ora più importante della giornata.

Io, che non sono coraggiosa, alle 18.00 da tre giorni inizio a piangere. La verità è che ricaccio indietro le lacrime più o meno tutte le volte che leggo il giornale durante il giorno. O tutte le volte che mi arrivano video dei nuovi eroi sui gruppi Wapp. Le ricaccio indietro ogni volta che mi arriva la notifica di una nuova richiesta fondi.

Ho silenziato il telefono 3 giorni fa.

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Covid-19 – ho scoperto di voler essere Bertoldo

Ve le ricordate le avventure di Bertoldo Bertoldino e Cacasenno? Se la risposta è no , questo post non è per voi. Avevo rimosso fino a questa mattina; quella saga di – mi pare – tre libri in cui Bertoldo, comune contadino dal senso pratico e mente ferma finisce a corte a far da consigliere al re.

Siamo al terzo giorno di “quarantena”, ed è passata una settimana dalla chiusura delle scuole e 10 giorni da quando abbiamo inziato a prendere coscienza che no non è uno scherzo.

Io, noi, siamo tra quelli fortunati, fuori città e con un giardino a disposizione. Cerchiamo una routine, cerchiamo di organizzare la giornata e oggi terzo giorno non riesco a smettere di contare. Di contare i giorni che sono passati da quando ho avuto gli ultimi contatti “rischiosi”. DI contare le persone malate in Italia, nella mia regione, nella mia provincia, nella provincia dove stanno mia mamma e mia sorella.

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Tel tempo, delle parole nude e crude e di ecologia

Del tempo:

“Viviamo in tempo strambo, dove la guerra tra il bene e il male si celebra da dietro un computer ; dove il bene in realtà è male e viceversa. Viviamo un tempo di gente che dice , che gira e muove e si muove, e che allo stesso tempo, non dice non gira non muovee non si muove. Poi invece c’è gente che si muove davvero, dai paesi in guerra o poveri, o brutti, e simuove verso i paesi dove ci sono persone che dicono di muoversi di vedere di girare, ma sono fermi dietro ai loro telefoni.

In un tempo dove si dice che si viva dietro uno schermo, dillo a quelli che salgono sui gommoni se lo schemo lo hanno mai visto. Gente che viaggia, che si muove da sud a nord , nessuno si muove invece da nord a sud. E’ un bene in piccolo che va al sud per aiutare, un bene composto da poche unità che vanno per missione, per coscienza e si ergono (per disperazione penso) a portatori di bene assoluto e ad assoluti condannatori di chi invece non fa niente.

J’accuse è la parola di questo tempo. Io accuso il politico di turno, accuso la gente, accuso i genitori degli amici dei miei figli.

Io accuso, e quindi esisto.

Senza l’accusa di quello che non va bene, senza l’accusa di quello che non mi piace, senza l’accusa sociale, io non esisto. Tutti accusano tutti, dal telefono, accusano tutti dal telefono dicendo che è un mondo brutto, perché pieno di gente che accusa la gente dal telefono.

Io accuso quindi esisto.

Delle parole nude:

Invece in questo tempo dovremmo avere la libertà di usare le parole nude. E di dire le cose come sono, di accusare senza filtro. Dovremmo dire chiaro e tondo che non è vero che tutti possono tutto (Chiaraferragniunposted) e che i sogni se ci credi si avverano. Ci sono milioni di variabili tra cui una, la più ingiusta, quella che non puoi controllare. La variabile nascita.

Dovremmo poter usare la parole nude e crude: che se cambi schieramento politico 30 volte, di base sei solo un venduto, una merda, un attaccato alla poltrona e un po’ hai anche rotto i coglioni.

Dovremmo poter usare le parole nude e crude per dire all’amica che ti parla solo di sè che ti assilla con la foto di sua figlia, dovremmo poterle dire: Addio, non ho più niente da dirti.

Dovremmo poter chiedere scusa senza se e senza ma.

Di Ecologia:

La voglio chiamare la REE. La responsabilità ecologica delle elité. Ed è una responsabilità impellente, importante, è la responsabilità che deve salvare il mondo, non solo dall’inquinamento, non solo dal fallimento del sistema consumistico, ma anche dall’oblio dei costumi e dei valori. E’ la responsabilità ecologica delle elité il fil rouge che deve salvare la nave che affonda.

Perché lo sappiamo che per essere ecologici, per eliminare la plastica, per usare prodotti non inquinanti, per comprare a KM zero, per ridurre il nostro singolo impatto, per acquistare vestiti prodotti eticamente, per ridurre il consumo, per andare al mercato invece che al supermercato, per separare gli imballagi, per autoprodurre i detersivi, per fare tutto quello che il singolo è chiamato , sarebbe chiamato, tenuto a fare , ora, oggi come oggi, in questo momento storico ci vuole un’unico grande alleato: il denaro.

Esssere ecologici, costa, costa soprattutto soldi, ma anche tempo. E’ quindi necessario che chi può parta prima, mentre si trovano altre soluzioni, è necessario che l’elitè adotti un atteggiamento intrasigente, di esclusione, di gogna sociale, verso chi potrebbe ma non può. i vecchi parvenù, sostituiti all’interno dei salotti da chi inquina, schifati, non invitati al tavolo dell’apparire ecologici.

Un movimento del , sei ricco ma non sei ecologico = sei uno sfigato. L’elevazione del comportamento ecologico a status simbol a modello aspirazionale, e salvatore del consumismo molto di più di quanto non lo sia ora. Una massa di gente dientro al telofono che fa selfie e si muove, senza muoversi, solo ed esclusivamente al grido di #green.

Un turismo e un cibo e un’energia e dei vestiti e dei cosmetici…il consumo/ il capitalismo che si muova al grido del solo possibile dio del prossimo decennio: L’impatto zero.

Perché per ogni Chiara Ferragni che si pente e si scusa per aver promosso un acqua in bottiglie di plastica ci sono 14 milioni di follower che si comprano una borraccia e non toccano mai più un solo pezzo di plastica usa e getta.

Teorie e tecniche dello svuota tasche.

C’è stato un tempo dove ognuno di noi si è visto regalare questo oggetto inutile e senza senso da un parente, di solito uno zio o una zia, accompagnato dalla frase “così ogni volta che ci metti le chiavi mi pensi”.

Ce ne sono di mille tipi ma quello in pelle quadrato resto un grande classico della “letteratura contemporanea”.

Lo svuota tasche alla fine ce lo siamo portato in giro per il mondo, dalla nostra stanza alla nostra prima casa, alla seconda, alla partenza per un posto lontano. Quell’oggetto inutile dentro al quale lanciamo le chiavi o gli spicci senza centrarlo quasi mai.

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Io rallento, tu rallenti, loro non rallentano

A volte succede che il tempo si fermi, per uno spavento, come due sere fa quando nano 2 è rimasto illeso per miracolo, è vivo perché c’era del ghiaino per terra. Se no era finito sotto una macchina, per sbaglio, di notte dove non era chiara la linea di confine tra marciapiede e strada.

Ci sono delle frenate brusche, improvvise, che ti lasciano quel senso di stordimento e spesso qualche livido adosso.

A volte succede che il tempo rallenti, come quando un mese e mezzo fa ho smesso di andare in ufficio tutti i giorni. A distanza di settimane mi sveglio con il senso di colpa, perché gli altri corrono, io non più. Non so gestirlo questo nuovo tempo lento, questo tempo per me. Mi sembra di sprecarlo quasi sempre, e di non usarlo, o che avrei dovunto comunque usarlo per produrre. Ma quel che faccio ora ha altri tempi, altri ritmi, che a me sembrano lenti, ma che forse non lo sono poi così tanto.

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Mandare tutto all’aria e farsela addosso.

NO PANIC

Se non fossi stata una perfetta sconosciuta ma anche solo una misera starlette dell tv nostrana, potrei parlare oggi di un segno del destino o di un coach motivazionale che mi ha spinto a rivedere i miei limiti , i miei perametri, la mia confort zone e che mi abbia aiutato a capire che il mio IO interiore era insoddisfatto e infelice di questa vita da occidentale 4.0.

Potrei raccontare di come la meditazione e lo yoga mi abbiamo aperto la mente sulle enormi potezialità che la vita ci regala e di come poco ne cogliamo l’essenza; di come questo mi abbia permesso di spingermi oltre le mie capacità dandomi la forza e il coraggio di rivedere tutto.

Sarei bravissima, credo, nelle mie nuove vesti di starlette con chignon stretto, capelli scuriti e non più biondo platino, seduta su una poltrona dal design moderno e vestita con un bellissimo tailleur (in prestito) grigio con pantalone a vita alta, a spiegare come in realtà i quasi 40 sono i nuovi 30; che è solo dopo che i figli crescono abbastanza da lasciarti un vuoto che finalmente la tua mente ha tempo di respirare e di capire CHI veramente sei e COSA veramente vuoi fare nella tua vita…

Se non fossi una perfetta sconosciuta ma anche solo una misera starlette della TV nostrana, potrei quindi proseguire raccontando per filo e per segno come la mia quotidianità è in fase di assestamento e come questo mi spinga ogni mattina a cercare detro di me il meglio, a sfruttare a pieno il tempo che finalmente ho e ad avere anche la capacità di apprezzarlo; come la nuova sfida che mi sono posta mi metta di buon umore ogni mattina e mi permetta di gestire meglio, prima di tutto il MIO tempo, quello per me, poi quello per i figli e in generale focalizzare quelle che sono le cose VERE della vita.

Peccato che io sia solo una perfetta sconosciuta che dopo aver preso uno schiaffo e in un attimo di follia, si è licenziata da un lavoro quanto meno sicuro (noioso e umiliante ma sicuro) per lanciarsi in qualcosa di cui non capisce praticamente niente, probabilmente al di fuori delle sue capacità, che al momento brancoli nel buio totale nella gestione del tempo, dei figli, di se stessa, con i capelli dritti (biondo platino) e gli occhi spalancati. Lo yoga in questo caso serve a gestire i momenti di pura ansia e panico che la nuova condizione apporta; mentre la meditazione questa sconosciuta…

Ecco come mandare tutto all’aria e poi farsela addosso. Che però ve lo dico … fa molto 20 enne irresponsabile quindi, non male…

Breve storia banale di una crisi di mezza età. PUNTO.