Golfo di Aqaba – riflessioni di frontiera

I posti di frontiera sono sempre posti speciali, soprattutto per chi non ci vive ma ci passa soltanto. Come quando un grande fiume arriva al mare e l’acqua dolce si confonde con quella salata  e c’è uno strano senso di divisione e di unione qui giù in questo pezzettino di mondo.

Ci sono le reti che dividono 4 nazioni, e le frontiere controllate centimetro per centimetro e poi ci sono, quei 50 metri in cui poggi i tuoi piedi sulla terra di nessuno. Ne di qua ne di là. E lì, mentre ti diverte il fatto che non sai esattamente dove sei incontri lo sguardo di chi quel passaggio lo fa tutti i giorni, magari per andare a lavoro, perché dalla sua parte della rete il lavoro non c’è più. Oppure per vendere qualcosa. E’ uno sguardo stanco di chi meccanicamente affronta questo andirivieni di controlli, di passaggi, di infinite lingue. E’ un andirivieni di chi ha le tasche piene di soldi diversi un pò per di qua e un pò per di là.

In questo pezzo di mondo un pò liquido ma nettamente diviso dal filo spinato dove convivono separatamente culture e religioni e credenze e vite diverse. In un pezzo di mondo  un po’ israeliano un po’ giordano ma anche egiziano e saudita qualcosa ci ricorda quanto la storia del mondo sia intricata e complessa. Un pezzo di mondo piccolo come da casa mia al mio ufficio.

C’è un senso di vaghezza qui giù perché tutti sanno che quelle linee rette di filo spinato sono lì e lì rimarranno, ma guardandole sono consci di quanto sia senza senso la loro collocazione, proprio lì. Le frontiere qui giù sono linee dritte su una pianura secca e deserta, dove neanche un fiume, un fossato, una collina fanno da divisione almeno “simbolica” dei 4 paesi. Così sia la mattina che la sera con la luce umida del deserto non c’è verso di vedere la rete e capire dove finisce uno e dove comincia l’altro.

Ed è proprio a quell’ora lì che li vedi passare la frontiera, giordani che vanno in Israele israeliani che entrano in Giordania. La mattina e la sera quando la luce confonde i confini, due mondi separati da una rete messa esattamente lì non si sa bene da chi si incontrano su quei 40/50 metri di terra di nessuno e camminano meccanicamente con in mano un passaporto pieno di timbri, alzano lo sguardo e si riconoscono, entrambi con la pelle scura e quegli occhi azzurri che chissà da dove saltano fuori.

Stamattina c’ero anche io all’alba, e li ho visti sorridersi mentre si incrociavano, legati dal perenne cammino da una parte all’altra della frontiera, tra le reti di filo spinato e i fucili dei poliziotti ben fermi. Sembrava quasi volessero fermasi a bere un caffè su quella terra di nessuno, per chiedersi se a casa stavano tutti bene, se i figli stessero studiando abbastanza se le mogli rompessero le scatole come al solito. Si sono solo sorrisi, e poi ognuno per la sua strada.

I posti di frontiera noi Europei li abbiamo dimenticati da tanto, ma quando li vedo mi ricordo di quanto sia fragile e confuso e labile questa strana divisione che abbiamo fatto del mondo.

Sri Lanka – terzo giorno

Il terzo giorno diventa il primo vero giorno. Ogni volta che vengo da questa parte del mondo mi rendo conto di quanto le prime 48 ore siano un enorme buco nero nella mia testa.

Il viaggio, le ore in aereo, le attese, gli scali, servono terapeuticamente a darmi il senso della distanza, dell’allontanamento. Dello stacco.
E poi scendi in questo clima e in questi colori che niente hanno a che vedere con la parola casa.
La stanchezza, l’umidità, il senso di estasi per la vacanza appena iniziata. Il tempo scorre e finalmente invece di correre rallenta. E la vacanza dopo due giorni lascia il posto al viaggio.

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in valigia – l’arte di piegare organizzare

Ma soprattutto l’arte di rinunciare.
E questa è il fondamento base che nel DNA femminile il 99% delle volte manca.
La rinuncia, quando si tratta di impacchettare per la partenza, è un perfetto sconosciuto alla maggior parte di noi.
Io non so come, non so perché, ma sono nata con il dono del saper fare le valige.
Nella mia testa si mischiano una tale infinità di scene esilaranti sull’argomento che, davvero, non riesco ad organizzare le idee.
Allora vado random e la vedo la faccia da urlo di Munch di mia sorella alla frase di mio padre per il nostro viaggio in africa (15 giorni) :
“mi raccomando partiamo con un bagaglio a mano a testa che dobbiamo fare troppi cambi di aereo”.
Il Panico, l’urlo, silenzioso, come quello del quadro. E un solo flebile commento : “e il phon dove lo metto?”Mia sorella che ha le borse da giorno grandi come valige.
Che quando parte per venire al mare (1 ora di macchina) fa la transumanza e viaggia da sola in per far spazio alle valige.
Vedo mia madre, isteria allo stato puro.
Dire che non sia capace di razionalizzare una valigia non rende l’idea.
Mia madre…mia madre ha inventato una nuova figura professionale per supplire ai suoi attacchi di panico da partenza. Mi madre ha una guardarobiera.
Sì, è esattamente quello che immaginate. E’ un’addetta al suo guardaroba. Significa che ogni tanto va, e mette a posto gli armadi riorganizzando tutto per tipologia di capo e colore.
Significa che LEI Anna, fa il cambio di stagione.
Significa sempre che lei Anna riceve telefonate da una pazza in preda al panico che il giorno dopo deve partire all’improvviso per 3 giorni (ricordate questo numero) e non sa proprio da dove cominciare per le valige.
E’ sempre Anna che quindi il giorno dopo va a fare la valigia della suddetta donna che senza colpo ferire le indica solo la destinazione, le incombenze, e altre inutili informazioni.
Sono convinta che Anna abbia il numero diretto di tutti i centri meteo del mondo che chiama sempre in vista di questi cataclismi.
E la scena che da anni mi si para difronte agli occhi è sempre la stessa.
Anna prepara un trolley (3 giorni) mia madre lo risvuota e ci mette il beauty case, tanto per iniziare.
Santa Anna.
E forse è per quello che Dio ha voluto risparmiare me da questa malattia.
Io me lo ricordo la faccia di LUI quando al primo viaggio insieme mi sono presentata all’ areoporto con
zaino a mano. Destinazione Vietnam – 20 giorni.
Il quello zaino c’erano stipati tutti i capi più orribili del mio armadio, dai retaggi anni 80 ai grandi errori anni 90. Mano mano che indossavo/sporcavo…abbandonavo.
Il mio segreto è: dalla valigia tutto esce e nulla rientra (tranne lo spazzolino) – valido ovviamente solo in caso di viaggi itineranti. 

Per tutti quelli che vanno a Formentera/Maiami/NY qualsiasi posto civilizzato dove necessitate di cambi vari…ricordate: andate in posti dove i negozi hanno cose più belle che da noi:)