A me fantozzi mi pettina le Barbie

Potrei andare in ordine sparso a elencare cose di minima importanza che poi messe insieme un po’ fanno ridere un po’ però fanno anche piangere.

Tipo – lavorare per settimane su un progetto trascurando tutto il resto e tutti quanti… e poi il progetto si frantuma su una frase tipo “beh però dai così è troppo AVANTI”

Tipo – Comprare una cosa nuova e usarla una volta, vedere che funziona e buttare lo scontrino, e subito dopo vederla che si frantuma nelle mani di uno dei nani, o tra le fauci del cane.

Tipo- accorgersi che tuo figlio è ATTILA FLAGGELLO DI DIO e sta devastando la casa (che non è tua e quindi dovrai ripagare tutto). Continua a leggere “A me fantozzi mi pettina le Barbie”

Chi troppo in alto sale, cade repente…precipitevolissimevolmente

In ogni famiglia che rispetti ognuno recita il proprio ruolo. E così il figlio “delinquente” resta tale anche quando con 3 figli 45 anni e un matrimonio di 10 anni esce in giacca e cravatta la mattina per andare a lavorare in Banca.

Non importa chi tu sia diventato nella vita, non importa cosa tu abbia fatto. A casa tu sei e resti quello che eri a 4 anni. Così mi immagino i genitori di Zuckenberg che si incazzano dandogli del Coglione Nerd quando li va a trovare il giorno del ringraziamento. E solo perché, per sbaglio, ha rovesciato un bicchiere di coca sul tavolo della cucina. Probabilmente avrà dei cugini più grandi che l’hanno sempre preso in giro, schiaffeggiato, battuto a pallacanestro, umiliato per la sua pelle bianca e l’aspetto un po’ molliccio.

E adesso che lui è quello che è, per loro, lui resta il nerd pappamolla e floscio.

La famiglia ti obbliga a rimanere quello che eri, ti fa specchiare e vedere quello che a volte non vuoi. Ti mette davanti al fatto che per quanto tu possa sforzarti dì evolvere e crearti un percorso decoroso, rispettoso, dignitoso, la vera verità è che resti un uomo qualunque, in un mondo qualunque che nulla può, contro e/o per, le grandi cose della vita.

……….. e adesso la parte divertente.

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Sri Lanka – terzo giorno

Il terzo giorno diventa il primo vero giorno. Ogni volta che vengo da questa parte del mondo mi rendo conto di quanto le prime 48 ore siano un enorme buco nero nella mia testa.

Il viaggio, le ore in aereo, le attese, gli scali, servono terapeuticamente a darmi il senso della distanza, dell’allontanamento. Dello stacco.
E poi scendi in questo clima e in questi colori che niente hanno a che vedere con la parola casa.
La stanchezza, l’umidità, il senso di estasi per la vacanza appena iniziata. Il tempo scorre e finalmente invece di correre rallenta. E la vacanza dopo due giorni lascia il posto al viaggio.

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Impressioni di viaggio

Ho preso un pò di appunti in queste 2 settimane in giro e quello che rileggo ora mentre scrivo mi ricorda quante cose si possono vedere e fare in 2 settimane, quanto il bioritmo ( il mio) sia diverso da quello che seguo quando sono a casa.

Così,  ecco i primi spunti.

La cambogia vale il viaggio, la fatica, la distanza.
Siem Reap non è solo templi, è una città bellissima, a misura d’uomo, o meglio, di turista felice.
Un agglomerato di varia natura di alberghi/pensioni/resort che ti sorprende con vecchi edifici coloniali, meravigliosi ristoranti di bambù, ma soprattutto un popolo appena svegliato da un inferno.
Un popolo che sorride.

Sorride alla vita. Nonostante le difficoltà e la grandissima povertà che ancora c’è.

E pur si muove…è tutto in divenire, c’è speranza negli occhi, c’è gente che si dà da fare, ci sono amici che costruiscono il loro futuro e creano futuro anche per chi ha visto anni orrendi.

C’è un meraviglioso ristorante italiano, dove non c’è posto per “pizza pasta e mandolino” ma solo per i sapori di casa, quelli veri. C’è chi si dà da fare per chi deve ancora crescere, e lo fa davvero.

C’è l’amarezza di non aver trascorso qualche giorno in più.
E la certezza che torneremo presto.

E poi c’è il mare delle isole andamane, che è blu, nero, verde e azzurro proprio come ti insegnano a colorarlo da piccolo.

C’è una piccola isola che accoglie turisti, ma che non ha ancora negozi da turisti.
C’è una piccola isola che non ha strade ne illuminazione notturna, ma ha bar, grigliate in spiaggia un sacco di capanne senza acqua calda e due soli bellissimi piccoli resort con tante comodità.

C’è un isola che ancora non ha cumuli e cumuli di spazzatura, che ha ancora una bassissima stagione su cui persone come me possono contare.
Una piccola isola dove arrivare è un’avventura se ti imbatti in un monsone.
Dove i collegamenti non sono garantiti.
E dove un ex art director di San Fransisco con il marito avvocato hanno aperto questo. Meraviglioso.

E poi ci sono le barche che fino a 10 anni fa andavano a remi.
E le isole del parco naturale messe a disposizione di chi vuole vedere i pesci.

Ci sono giorni di calma, giorni di monsoni e di pioggia.
C’è un pò di pace e un libro comprato usato per 3 dollari.
C’è una partita a Uno e pasti fuori orario.
C’è un piccolo microcosmo che ci ricorda quando il mondo sia bello, e vario.

E poi con orgoglio posso dire che anche qui c’è un Carletto, per la verità si tratta di vari Carletto (80% degli expat), che fanno cose belle e anche buone.

vecchi pensieri, nuovo post

Il coraggio.
Il coraggio è una di quelle qualità che non ho.
Io, che mi vergogno a chiedere informazioni per strada, che per fare una telefonata di lavoro ad uno sconosciuto ci metto ancora 20 minuti a decidermi, no mi correggo, 20 giorni se la scadenza non è imminente.
Dice wiki:
Il coraggio (dal latino coraticum o anche cor habeo, aggettivo derivante dalla parola composta cor, cordis cuore e dal verbo habere avere: ho cuore) è la virtù umana, spesso indicata anche come fortitudo o fortezza, che fa sì che chi ne è dotato non si sbigottisca di fronte ai pericoli, affronti con serenità i rischi, non si abbatta per dolori fisici o morali e, più in generale, affronti a viso aperto la sofferenza, il pericolo, l’incertezza e l’intimidazione.”

Ora, affrontare a viso aperto, non è che sia proprio una cosa da niente.
Non abbattersi.
E come si fa? Io che quando mi alzo mattina vedo tutto nero, non in senso metaforico, io appena sveglia non ci vedo proprio, e per le prime 4 ore della giornata (sì 4 ore embè) procedo alla cieca.
Mi salva il fatto che meccanicamente so cosa il mio corpo deve fare.
Così mentre alle 8 è tutto nero col passare delle ore piano piano piano la luce inizia a entrare nella mia giornata. Lentamente. Prima i colori primari, poi nel pomeriggio, tardo poriggio, le sfumature compaiono davanti ai miei occhi.
Per farvi capire…di solito i post li scrivo la mattina.
Quando non c’è nessun colore a distrarmi.
Tanto la mia tastiera è bianca e nera…più nera che bianca a dir la verità.
Che poi le tastiere bianche diciamoci la verità, sono tanto belle, al negozio, perchè dopo 10 minuti che scrivi vedi già quel neretto che le appassisce, le macchia.
Sto divagando. Dicevo, il coraggio.
Il coraggio di prendere in mano la situazione, di decidere che no, una cosa non la vuoi fare, o meglio ancora che quella cosa la vuoi proprio far tu.
Il coraggio delle proprie azioni (quali risponderei io?)
Il coraggio di vivere.
La retorica del coraggio.
Coraggio…è ora di mettersi in viaggio.

lunedì

Ancora, di nuovo, sempre uguale, il lunedì.
Testa gonfia, noia.
La noia di una giornata sempre uguale in un posto sempre uguale con le stesse cose da fare.
Qualcuno direbbe routine, in poche parole narotturadipalleinvereconda (scusate).
A me la “routine” mi ammazza. Mi snerva, mi sfianca.
Mi colpisce così, in un lunedì qualsiasi e mi ricorda che:
no non volevo fare questo lavoro da piccola,
no non volevo vivere in città, né in Italia,
no non volevo affatto alzarmi tutti i giorni e fare sempre la stessa cosa.

Ma probabilmente questo è quello che NON vuole nessuno.
Uno nessuno e centomila.
Ho la testa gonfia, anzi in effetti no ho mal di testa.
Da tre giorni, e dormo male.
“Amore mi sa che hai ragione tu, belle le finestre nuove che bloccano ogni rumore, belle, peccato che senza spifferi non c’è più un filo d’aria in casa!”
Ho sonno, nonostante le 10 ore di sonno ho sonno.
E ho una pila di riviste da leggere sulla mia destra e una lista bella lunga di cose da fare sulla sinistra.
E non mi va
Vorrei stare al mare (con te) a non fare un cavolo.
Fregene andrebbe benissimo.
Spaghetto alle vongole e un goccio di bianco e un lettino per sdraiarci, vestiti.
Al mare fuori stagione.

Scialla

…e mi sono sentita morire…mentre le immagini scorrevano e improvvisamente ho dovuto fare i conti con la vita.
La mia. Sono passati 15 anni…un eternità…e oggi la giornata è fatta di un lavoro noioso ma ben pagato, di bollette , di pochi amici di solitidine, di un uomo da sostenere e sorreggere.

Oggi è tutto complicato e niente va secondo i piani.

I piani si sono frantumati anni fa…e oggi, oggi non lo so se ho preso le direzioni giuste ai bivi.
Boh ci sono momenti che…che vorrei tornare indietro e fare le scelte opposte, e vedere cosa succede.
“torna prima dall’erasmus ti prego mi manchi…NO”
“trova un lavoro a NY …Sì”

E allora? dove sarei ora? e con chi? e mi sentirei cmq così vecchia e avrei lo stesso la sensazione di aver perso tante occasioni?
Non lo so.
Scialla.

Sì che ti voglio bene.

Ai miei problemi ci penso domani.