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Fallimenti programmati e vittorie certe.

Regola N1. Ad ottobre di ogni anno dichiara fallimento. Ti sarà di grande aiuto.

Un tempo mi sarei solo resa conto che la sessione d’ esame di settembre era andata a farsi friggere o, parlando della preistoria, che il buon proposito di cominciare bene l’anno scolastico si era rivelato un effimero pensiero tra l’ ultimo bagno al mare e l’ottobrata monticciana.

Nei primi anni da madre, il vano tentativo di organizzare l’anno mi ha visto soccombere addirittura a settembre. Adesso preparo le carte per la corte marziale (giudici anni 11 e 9) già ad Agosto. Sia chiaro, ho sempre la ferrea volontà di passare per quel processo di elaborazione del fallimento (personale e non economico) che è propria solo del genere femminile*.

Ma pare che il 2022 mi riservi delle sorprese scoppiettanti. Così mentre la corte si ritirava a deliberare sono successe cose incredibili che potrebbero , a discapito di tutti i bookmaker, ribaltare la situazione:

Wondernonna si è dimenticata uno dei giudici a scuola. Ma non ritardo… proprio dimenticata tipo: “nonna dove sei?” – ” a casa perchè?” – “nonna dovevi venire a prendermi!”

10 punti a mamma che se li è dimenticati a scuola un sacco di volte, ma non ha mai ammesso il misfatto dando la colpa al traffico.

Programmare il proprio fallimento è abbastanza terapeutico. Hai modo di girare pagina lasciando vuoto lo spazio che di solito avresti occupato con i sensi di colpa. E quello spazio vuoto lì, quella assenza di colpa, quella è la vittoria più grande. E’ una vittoria certa.

In questo strano mondo che non capisco un granchè, dove tutto acquista un significato enorme ogni giorno senza che niente metta radici per più di 2 giorni le vittorie certe fanno bene.

Quel senso di leggerezza nel vedere da fuori la giostra che gira ma tu no. E’ un’emozione incredibilmente potente. Dichiarate fallimento, va bene qualsiasi mese dell’anno.

E passate a fare cose più divertenti.

*I maschi non lo sanno che la parola fallimento include anche sfere NON economico lavorative , non diteglielo.

Futuro Anteriore e la scuola media

E’ arrivato il tuo tempo descritto e agognato,

è arrivato il futuro che hai tanto decantato.

E’ oggi quel giorno di cui parli da sempre,

quel futuro così lontano che oggi è presente.

Alle 4 finisce il presente da bambino,

alle 5 il futuro diventa vicino.

Mi dicono gli altri che è stato veloce,

questo tempo elementare che sembrava feroce.

Non penso davvero che il tempo sia volato,

ho le rughe, son più vecchia, mentre tu sei maturato.

Il tempo così lungo l’ho sentito ogni giorno,

la fatica, la paura e la felicità tutta intorno.

Da domani un grande salto nella nuova avventura,

ma è il Futuro anteriore che oggi fà più paura.

Sarò stata capace di insegnarti la vita, o quanto meno,

sarò stata sufficiente nel mio compito ingrato

nel lavoro di madre dove commetto reato.

Il reato di assentarmi e lasciarti sbagliare,

troppo? troppo poco? in ogni caso andrà male.

Ma il Futuro Anteriore invece è tuo alleato,

quello semplice è andato, morto, archiviato.

Questa forma verbale ti darà sicurezza,

indica eventi, esperienze che avverranno con certezza.

Il futuro Anteriore te lo impongo da oggi,

per amare senza paura e coltivare nuovi sogni.

Fenomenologia della salvia fritta.

Vi siete mai chiesti perché quando le grandi famiglie si riuniscono si mangia senza sosta?

I pranzi familiari li hanno inventati perché è l’unico modo per tenere insieme le grandi, grandissime famiglie. A bocca piena tutto si svolge secondo strane energie cosmiche ed è la telepatia che regola le tensioni.
Con la bocca piena è difficile litigare, piangere, spiegare, discutere.

È un sorriso verso la macchina fotografica mentre mangiate l’ennesima salvia fritta che suggella il fatto che sì, in fondo, è tutto ok. Anche se di ok non c’è proprio niente in quel momento. E vorresti dire che dall’altra parte della barricata ci sei già stata. Sei stata già quella in mezzo alla guerra di bombe che espolodono accanto a te e dopo le prime 4 , non le senti neanche più. Che lo sai com’è sentire che è andato tutto a puttane. Ma in famiglia, le cose, non si dicono. Si sentono.

Si sente la sofferenza, e si fa finta che non ci sia. Si scacciano via i pensieri – non i tuoi – ma quelli di chi mangia la salvia fritta accanto a te. Per una sorta di osmosi e con la sola forza del primo, secondo, dolce , caffè e ammazzacaffè, si soffoca la sofferenza.

A questo servono quelle montagne di cibo alle riunioni familiare. A con-dividerlo. Io dalla parte sbagliata ci sono finita abbastanza presto. E ero arrabbiata che nessuno mi abbracciasse e mi dicesse – è tutto ok – ora passa. Ero arrabbiata di essere sola in mezzo alle bombe e anzi, spesso le bombe erano fuoco amico.

Poi la guerra cessa e tu sopravvivi, ti spolveri i pantaloni, aggiusti la camicia e sai cosa vuoi dalla tua di vita. Alle abbuffate di famiglia ci arrivi preparata. Sai che niente si dice, e che la quantità di cibo ingerita è direttamente proporzionale al problema.

Così, davanti a un piatto di salvia fritta, chi ti porge il bicchiere di vino e dice che è buona anche la melanzana ti sta dicendo che ti vuole bene. Se nel frattempo prendi un tovagliolo e lo porgi a chi ti sta vicino, per evitare il dramma macchia da olio di frittura, allora quel qualcuno saprà che ci sei, che è tutto ok. Che tutto passa.

Le grandi, grandissime famiglie viste dall’alto, sono semplicemente formate da micronuclei che hanno un componente di contatto. Tipo puzzle. Il tassello di incastro altro non è che un estroverso che si insunua nel micronucleo vicino, e fa da collante. Gli angoli e i lati, pur facendo parte dello stesso puzzle, non si parlano, non si incontrano e non hanno nulla a che spartire. Ma inevitabilmente concorrono tutti a comporre il mosaico, e cosa più importante di tutte e tenerlo in piedi. Si trovano di solito su posizioni diametralemente opposte su tutto ma restano lì a fare da cornice. Sono quei pezzi, tuttavia, che la salvia fritta non la assaggiano neanche per sbaglio.

“E quando li cattura una definizione…”

…il mondo è pronto a una nuova generazione” cit.Lorenzo

Ho la cartella delle bozze piena di roba che non riesco a pubblicare, la leggo e mi pare banale. Mi chiedo sempre prima di cliccare su PUBBLICA, se davvero ha senso CONdividere. Le rileggo – senza attenzione ai refusi lo so – ma le rileggo in modo maniacale, le cose che scrivo.

La cartella bozze piena di roba che non pubblico, cose banali, noiose, al limite del ridicolo. Ed è in giornate come questa che mi chiedo se non sia il caso di schiacciare semplicemente su invio e buttare tutto fuori, qui sull’Internet.

A volte mi perdono la noia e la banalità, soprattutto quando sfoglio riviste patinate di giornalisti/e serie che se ne escono ancora con cose tipo: LA “NUOVA GENERAZIONE E IL RAPPORTO CON I BOOMER”.

Ne avevo 16 di anni la prima volta che lessi su IO Donna un stronzata del genere.

Mi chiedo: davvero nel 2021 è necessario pubblicare la merda nelle bozze dei giornalisti? No, perché non posso credere che un direttore abbia esplicitamente chiesto a un giornalista di fare un pezzo generazionale.

Pensare davvero di poter scrivere qualcosa sui “giovani” mi pare una barzelletta. Lo sentite quanto suona male anche solo leggerla questa frase. Lo pensavo a 16 anni quando scrivevano “su di me” lo penso ora a 40. Questa insulsa tendenza a dimenticare, e liquidare chi sta vivendo quello che tu hai già vissuto è una cosa che mi manda fuori di testa. Io oggi di 16 – 20 enni ne frequento molto pochi, e le rare volte che succede, la sento la distanza che c’è. C’è un modo che ci separa e quel mondo non è colmabile, non è incasellabile, non è comunicante. Siamo noi che guardiamo loro, loro a noi non ci vedono proprio. E’ come fossimo tutti invisibili.

Ed è giusto così.

Perché questa distanza generazionale andrebbe coltivata, la lontananza tra generazioni è un mondo di cose non dette, non condivise. Era un mondo fatto di regole non dette, quando ero io nella casella Pischella, regole che mi sono servite nella vita molto più di tante cose ripetute fino alla nausea. La distanza permette a loro – quelli nuovi – di scegliere la strada, e non per merito nostro, ma per demerito di chi da quella casella lì è già passato, e ha la pretesa di sapere come si sta.

Non è così. Loro sono lì adesso, ed è un mondo tutto diverso, così loro non capiscono i tuoi racconti perché il panorama è completamente cambiato. Immaginate la stessa sensazione che avete quando siete tornati in un posto dopo tanti anni. Il posto è lo stesso, la spiaggia non si è mica mossa. E anche il baretto è sempre lì. Ma non è più lo stesso. Non bisognerebbe mai tornare nei luoghi dove si è stati felici. Ti deluderanno inevitabilmente.

Stamattina leggendo l’articolo, ho pensato che ai giornalista e agli editori che tirano fuori dal cilindro delle bozze il pezzo generazionale andrebbe fatto un corso di – butta la bozza. Ve lo tengo io. Gratis.

Supponevo, stupidamente, che la mia di generazione avrebbe avuto almeno la lungimiranza di non farlo neanche il tentativo di compredere. Invece Generazione MZXY , boomer contro Millenial, caselle, definizioni, usi e costumi dei popoli della notte. Come nel libro di storia. Mentre leggevo ho avuto quasi l’istinto di sottolineare e ripetere ad alta voce…

Possiamo fare un patto? Accettiamo serenamente che NO non parliamo la stessa lingua che i loro 16-20 anni non sono i nostri. Che possiamo guardarli ma non possiamo capirli, non possiamo comunicare. Possiamo vivere di silenzi. Mentre loro pensano che siamo dei coglioni e noi pensiamo che non capiscono un cazzo.

E che a un certo punto sta cosa di scriverci sopra… la possiamo pure relegare agli storici quando scriveranno.

Era il 1992 io cantavo Tempo, di Jovanotti…. e quando li cattura una definizione, il mondo è pronto a una nuova generazione.

PUNTO.

Lettera di Compleanno – N.13

Scrivo ormai solo per i vostri compleanni, ho inziato con il tuo, 8 anni fa e mi sono ripromessa di non smettere, anche se fermasi a fare il punto diventa sempre più difficile. Un tempo fissare le parole mi rendeva facile affrontare la giornata, oggi ho la cartella delle bozze piena di parole incompiute. Non scrivo da Aprile.

10 anni i tuoi. 10 anni sono tanti e gli ultimi 18 mesi valgono come fossero 5 tutti insieme. Il mondo lì fuori sembra impazzito, arrivato quasi all’esplosione finale, ma questo non possiamo dirtelo, ne io ne papà.

Perché abbiamo il dovere morale di pensare che avrete un futuro e che sarà un futuro felice.

10 anni di te, 10 anni da mamma, 10 anni di sorrisi e di silenzi. I tuoi sempre più lunghi, sempre più riflessivo, ormai mi cerchi solo la sera prima di andare a letto. In questa vita simbiotica che per tuo fratello è diventata la normalità è stata l’inverno dei distacchi.

Primi week end fuori a sciare da solo, primi centri estivi lontano da casa con tanto di primo amore da me ignorato scientemente – se non te lo ricordassi quando leggerai chiedimi di Renee. Cerco disperatamente di mantenere un legame, un filo sottile che ti riporti da me quando ne avrai bisogno. Cantiamo a volte. E mi stringi la mano mentre cambiamo insieme le marce mentre guido; sì sei seduto davanti se non siamo in città.

Al buio mi prendi la mano e la stringi una volta, rispondo con una stretta decisisa, poi due strette, replico con la stessa sequenza. Arriviamo di solito a tre e poi appoggi la testa alla mia spalla – perché ormai arrivi lì- e io ti stringo.

Le parole si fanno sempre più rare. Non so mai se rispettare i tuoi silenzi o se insistere. Mi parli di videogiochi di cui non mi importa un fico secco e ho scientemente deciso che non farò la “mamma amica” che impara il linguaggio dei figli per stargli accanto. Lo trovo sbagliato. Sarò tua madre, non mi resta che accettare la distanza che aumenta e aspettare che tu ti sieda accanto a me.

Ho una lista infinita di cose da fare con te appena sarà possibile adesso che sei grande. Sono egoisticamente elenchi di ricordi da lasciarti per quando sarai lontano.

Ieri seduti su una panchina, mangiavamo un giropita in un micro porto greco. In sottofondo la voce del Pope che recitava la messa nella chiesa lì accanto; le luci del porto soffuse e poche persone intorno a noi. I piedi nella sabbia e noi 4 seduti a mangiare. Ti ho detto: ” da grande quando parlerai di me, puoi dire che mangiare un giropita in porto in grecia è la mia concezione di felicità”. Ricordo numero 1 . Fatto.

Sono passate settimane dal tuo compleanno, festeggiato in famiglia e riempito di regali. Ho dovuto mettere una distanza da qual giorno. Avrei voluto stringerti e supplicarti di smettere di andare avanti. Di fermarti un attimo. E solo oggi guardando il blu greco oltre il mio computer posso farti gli auguri di buon compleanno e dirti quanto sono grata di averti nella mia vita e immensamente felice di quello che sei.

Così anche quest’anno eccoci arrivati agli Auguri: che sia un anno di grandi emozioni, e di mille scoperte, che sia l’anno della tua crescita. Che tu possa smettere di preoccuparti del giudizio altrui e possa dire e fare e vivere esattamente quello che desideri.

Che tu possa smettere di preoccuparti per ciò che ci circonda. Che le brutture del mondo non impattino troppo. Che tu possa sentirti amato, e considerato e protetto. Ancora per un pò. Che tu possa essere coraggioso, come sei già e che quest’anno sia un tuffo incredibile come quello di ieri nel mare più bello che c’è

Tanti Auguri Zeno

Con amore

Mamma

Le cose belle che non dovrei dimenticare.

La mattina quando mi sveglio apro gli occhi e vedo la luce che filtra dalle persiane.  IO VEDO. Di solito qualcuno alle prime luci dell’alba si è intrufolato sotto le lenzuola e aspetta pazientemente che io apra gli occhi. Mi sorride, mostrando tutti i denti in contro luce, e appena li apro mi abbraccia forte, quasi mi strozza, spesso si appoggia ai capelli col gomito e li tira, e mi fa un pò male. IO SENTO il suo profumo e la sua voce. Nel silenzio una mano adulta si appoggia sulla mia fronte e mi dà una carezza. E io RICORDO di avere accanto un amore grande da più di 10 anni, tutte le mattine, anche quelle in cui siamo arrabbiati e stanchi, tutti e due ci auguriamo BUONGIORNO.

Ci sono mattine in cui c’è tempo di cucinare i pankace (raramente) e di sederci a tavola a fare colazione, tutti insieme. Le finestre danno su un cortile interno pieno di alberi e piante (e zanzare) e c’è abbastanza silenzio per dimenticarsi che siamo in città. Ho un LAVORO che mi aspetta e una CASA accogliente dove tornare la sera.

Quando scendo spesso ho un SORRISO e un CIAO e a volte un aiuto da dare a chi, a pochi metri dal mio portone, pulisce la strada al posto del comune, porta la spesa a casa alle vecchiette in difficoltà, o se ne sta a bivaccare davanti a supermercato chiedendo qualche moneta. Lo dico anche ai NANI di dire BUONGIORNO, e se è un viso concosciuto,  se lo ricordano da soli di salutare.

Il nano grande aggiunge anche un come stai? Qualche volta si ferma e fa domande scomode: “Davvero non hai una casa? E dove dormi) Davvero non hai un lavoro? E come trovi i soldi? Davvero sei arrivato dal mare?”  E mi mordo la lingua (non sempre con successo) per non troncare la conversazione tra i due. In quel momento ho un senso di colpa per quello che HO, e un senso di ORGOGLIO per il nano che si interessa all’altro. Che parla con il prossimo conosciuto per strada. I ragazzi di solito a me non sorridono quando li saluto, ma ai bambini sì, gli chiedono del calcio, di dargli il 5 con la mano, di studiare a scuola che è importante.

Mentre la mattina sono in macchina ho un’amica da chiamare, lei fuma la prima sigaretta della giornata e io guido verso il mio ufficio lontano da casa e ci lamentiamo tra di noi di quello che non va, come le amiche vecchiette. Così scarichiamo la nostre dose di lamentele tra di noi e non passiamo per ingrate con il resto del mondo. Facciamo bella figura tutte e due così. IL diritto alla lamentela (inutile) è sacrosanto. E spesso diciamo cose davvero poco corrette. Ma sono parole che restano nell’aria della mia macchina e sul terrazzo dove fuma lei. Non lo sa nessuno.

Ho 5 giorni di solitudine tutti per me davanti; 5 giorni sono abbastanza per avere un pò di nostalgia delle cose qui sopra. Che sono cose belle, ma che spesso non riesco a ricordare.

La vecchiaia secondo me

Ognuno ha i suoi rimpianti nella vita, chi più, chi meno, io mi sento fortunata perché se davvero davvero mi sforzo di fare la lista, alla fine dei conti, uno solo me ne viene in mente.

Io volevo fare la maestra di sci. E poi non so perché non l’ho fatta. Avevo fatto tutte le procedure per iniziare le selezioni, visita medica etc etc, avevo il tempo, un pò senza falsa modestia avevo anche le capacità;  quindi buone possibilità di riuscire a passare il corso.

Poi non so perché non sono andata avanti. Sono fondamentalemente una pigra, quindi al momento quello che mi restituisce la memoria oggi, a distanza di 17 anni sul giorno in cui mi sarei dovuta applicare davvero è probabilmente una atavica incapacità di prendere la macchina guidare fino al Terminillo, procurarmi un casco che all’epoca non era obligatorio ma che serviva per le selezioni, e andare a morir di freddo. Così quel giorno non sono andata e adesso ogni volta che infilo gli scarponi un pò sono felice un pò mi rode.

Negli anni la neve è stata l’unica cosa che mi ha fatto alzare le chiappe dal divano; ho studiato più velocemente e meglio per avere il permesso dai miei genitori di stare piantata in montagna; ho guidato i venerdì notte uscita dal primo lavoro anche 6 ore di seguito per fare solo 2 giorni di sci, tornando la domenica notte. Ho sofferto il freddo in modo incredibile, mi sono fatta male un sacco di volte. Ho sciato anche incinta con i pantaloni sbottonati e Lui che mi allacciava gli scarponi a cui non arrivavo, non si dovrebbe lo so ma mi levava la nausea.

Ho sciato anche tutta rotta, puntualmenete piena di acido lattico e dolori  non avendo fatto nient’altro per i precedenti 9 mesi.

Ho chiamato mio figlio Zeno…

Il week end scorso sono tornata a sciare dopo i soliti 9 mesi di divano:

  • il viaggio di andata  è stato atroce
  • mi ha fatto male tutto già dal secondo giorno e non dal terzo come di consueto
  • ho avuto tanto tanto freddo  che mi sono fermata due volte in rifugio a scaldarmi – meno 17 gradi è freddino in ogni caso

E per un attivo ho pensato… ma chi me lo fa fare? E’ stato solo un istante ma così nitido che ho percepito esattamente cosa e quando sarà la vecchiaia per me. Sarà il giorno in cui la mia proverbiale pigrizia avrà la meglio anche sulla neve.

PENSIERO CATTIVO #2

Che possano sparire le palestre e i raduni tra sportivi

Che tutta la gente FIT intorno a me da domani si svegli con la pancia di un bevitore professionista di birra

Che l’acido lattico colpisca tutti quelli che fanno sport più di una volta al mese

Abbasso le maratone, le ciclostoriche, e tutti gli “amatori” di sport vari

Che lo spot nike “JUST DO IT” sia portatore di Virus infestando così le tv di mezzo mondo

Lo sport è una faccenda seria, lasciamola a chi lo fa di professione.

 

Breve Post -Vacanza 2017

Dovrei raccontarvi di patinate giornate estive, di pelli abbrozzante, di bambini felici, di mare cristallino, di sale, di capelli crespi e di sandali.

Dovrei dirvi di un’isola ormai non più dimenticata nel mezzo del mare greco, dove il vento ti prende a schiaffi tutti i giorni, dove non fa mai davvero caldo. Di feste con mood anni 80, di niente da fare, di tempo che si ferma.

Dovrei dirvi di figli felici, di adolescenti sdraiati, di cibo cattivo, di lentezza, di routine, di amici e nemici. Continua a leggere “Breve Post -Vacanza 2017”

Lettera di compleanno – tra una valigia e una mail -6

ZHo come l’impressione di essere sempre qui a scriverti, e che gli anni si stiano traformando in giorni. Ci siamo, di nuovo. Domani 6 anni.

E’ l’estate più calda che io possa ricordare, così calda che mi ricorda quella in cui sei nato tu. Facevano 40 gradi anche lì e abbiamo passato i tuoi primi giorni di vita nascoti all’ombra delle persiane , chiusi in casa in campagna, con le cicale di sottofondo e le giornate lente e pigre e … calde.

Domani si parte, in viaggio, il giorno del tuo compleanno. Partiamo per mete a me care  che spero restino impresse nella tua memoria di bambino. Ti porto dove il mondo – io penso – ha ancora profumi , colori, e sapori. Dove niente è tutto uguale, dove c’è poca plastica, e molto poco da fare.

Non andiamo per fare cose, andiamo per stare insieme, tutti insieme anche con i fratelli grandi.

Ti porto in un posto che ci rende felici a me e a tuo padre e spero che la felicità sia contagiosa.

Ieri sera correvate, te e tuo fratello, per i giardini di quartiere con un monopattino e un gelato.  Giocavate per strada, come si faceva un tempo e facevate amicizia per strada, come si faceva un tempo.

Mi chiedi sempre com’era quando ero piccola io, e poi aggiungi sempre… ” e quando era piccolo papà?” Hai ormai assimilato il fatto che si tratta di due tempi diversi i miei e quelli di papà e sai ormai che c’è sempre una versione in più.

Me lo chiedi per sapere se il mondo è meglio o peggio ora. Cerco di non cadere nell’errore di tutti i grandi, che pensano che il passato sia meglio del presente, così anche se realmente se lo penso, mi mordo la lingua e ti dico che oggi è molto più bello di ieri.

Domani partiamo, il giorno del tuo compleanno,  in viaggio.

E questi sono i miei auguri per i tuoi 6 anni:

Ti auguro, amore mio, di essere sempre in viaggio il 4 di agosto,  magari da piccolo ne soffrirai un pò, ma poi da grande ne sarai felice come lo sono sempre stata io.

Ti auguro di essere in viaggio per posti speciali alla ricerca di quella luce un pò gialla che a me piace tanto, per posti dove non c’è niente di che da fare ma c’è la vita da vivere.

Ti auguro amore un anno di vita normale, come quello passato, dove le delusioni e le grandi felicità sono andate di pari passo.

Ti auguro amore un mare di ricordi felici, che sbiadiranno nel tempo ma ti lasceranno da grande una sensazione di pace.

E in fine amore quest’anno ho una richiesta; quando non ti guardo, travolta da tuo fratello, dammi un calcio e ricordami che ci sei, perché anche se lui è quello rumoroso, anche se lui è quello che detta “purtroppo” gli umori della giornata, lo so che sei tu quello che più ha bisogno di tutti noi, o forse, onestamente parlando, io di te.

Domani si parte. Buon compleanno.

Con amore Mamma

 

 

 

 

 

Un giorno a Roma

Sarebbe bello se una mattina a Roma ognuno di noi scegliesse di fare qualcosa, una sola cosa, senza alcun senso, tipo:

Buttare l’immondizia non sua lasciata accanto a un cassonetto, mentre cammina sul marciapiede sporco sotto casa. E poi sorridere a chi lo guarda interdetto.

Fermarsi e far passare qualcuno avanti in fila nel traffico, o ringraziare 2 volte chi lo fa con te.

Chiamare il lavavetri al semaforo anche se il vetro è pulito e chiedergli come va. Guardandolo negli occhi.

Tornare sulla linea orizzontale del semaforo spostandosi dalle strisce pedonali che regolarmente occupiamo in motorino, per il purogusto di essere tutti allineati.

Dire buongiorno al vicino di casa antipatico e non aspettarsi una risposta.

Lasciare il proprio figlio scuola senza fretta , anche se si è in ritardo, e fermarsi a spiarlo 5 minuti dallo stipide della porta.

Chiedere scusa ad un automobilista che ti insulta, anche se è lui che è in torto.

Riprendere da terra il mozzicone di sigaretta appena buttato, e metterselo in tasca.

Chiamare dal telefono fisso qualcuno e invitarlo per un caffè, per il gusto di usare il telefono fisso.

Immagino una città avvolta in una caotica calma. In una serena delirante tranquillità. Come quelle idiote pubblicità di auto dove dentro l’abitacolo suona musica jazz e fuori c’è la terza guerra mondiale.

Nessuno che suona, nessuno che grida, nessuno che litiga.

Romani in preda a un moto di spontaneità, che viaggia a rallenty.

Ieri sono andata al Colosseo e ai Fori, così , senza motivo. Me lo ha chiesto nano1 all’uscita di scuola. Ho pensato , ok perché no…

Siamo saliti in motorino e siamo andati. Insieme ai turisti, non eravamo con un gruppo, non avevamo una guida, abbiamo fatto il percorso al contrario, e ci siamo seduti sui gradini a parlare dei Barbari, dei Gladiatori e di Nerone (thanks to wikipedia).

Non entravo al Colosseo da quando avevo 20 anni  e ci andavo di notte… e ascoltavo Sheryl Crow cantando a squarciagola il ritornello.

Buon week end a tutti.