Le lacrime delle 18.00

Tutti i giorni alle 18.00 mentre la protezione civile annuncia i morti, tutti i giorni c’è chi canta, c’è chi applaude, c’è chi suona. E’ un modo giusto, speciale, incredibile di farsi coraggio. Di sertirsi parte di qualcosa, un pò meno soli.

Le 18.00 sono diventate in pochi giorni l’ora più importante della giornata.

Io, che non sono coraggiosa, alle 18.00 da tre giorni inizio a piangere. La verità è che ricaccio indietro le lacrime più o meno tutte le volte che leggo il giornale durante il giorno. O tutte le volte che mi arrivano video dei nuovi eroi sui gruppi Wapp. Le ricaccio indietro ogni volta che mi arriva la notifica di una nuova richiesta fondi.

Ho silenziato il telefono 3 giorni fa.

Lo apro solo per vedere cosa devono studiare i bambini ogni mattina. Meccanicamente mi alzo, mi vesto, li vesto, e andiamo a studiare fino alle 13.00. Poi si mangia, e perché siamo tremendamendamente fortunati dalle 14.00 alle 17.30 stismo in giardino.

C’è il sole questi giorni quindi fuori si sta bene. Ho sviluppato anche un sano senso di colpa. Penso a chi è chiuso dentro tutto il giorno e allora sto fuori. Anche quando fa freddo.

E poi arrivano le 18.00, aggiorno il sito del ministero della salute e leggo il bollettino. E piango. Penso al coraggio di chi suona, e canta, e fa cose alle 18.00 per esorcizzare Borrelli che parla. Io invece sto lì lo ascolto e mentre lui parla le lacrime scendono, facilmente.

Tra me e me mi sgrido, non sono io a dover piangere, sono i malati, le famiglie che piangono qualcuno, ma le lacrime puntuali scendono. Sono quelle rimaste lì in attesa tutto il giorno, hanno capito che alle 18.00 sono troppo codarda per ricacciale indietro. Allora si accumulano tutte lì e tutte insieme silenti, 10 goccioloni per occhio vengono giù.

Dura poco, c’è sempre un “Mamma!!!” che le interrompe. Asciugo tutto e mi alzo.

“Sì arrivo!” e penso a chi “Si arrivo” non lo dice più.

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