Di quella volta che un libro mi ha scelto

Ero di fretta come sempre, ma ho avuto la prontezza, di guardare la copertina e di vedere una montagna piena di neve.

Associazione basica, stavo andando a sciare, porto un libro con la neve.

In realtà lui se ne stava lì, nella pila dei libri da leggere che negli ultimi anni è cresciuta a dimisura se ne stava lì e mi fissava, e io l’ho preso.

Continuo a comprarli i libri, con meno frequenza, ma continuo a tentare di trovare il tempo di sedermi e perdermi nelle parole di qualcuno che a volte, come per miracolo, acquistano un senso anche per me.

Le storie in sé, anche se belle, ormai hanno perso fascino ai miei occhi, e quando vedo che la storia non mi porta da nessuna parte, la lascio lì, sospesa, che in fondo è una storia come un’altra, di cui mi importa poco.

Questa volta però la storia è stata terapeutica.

Le pagine una sera dopo l’altra, mentre tutti dormivano mi hanno portato in un mondo che mi è familiare, fatto di roccia e boschi, e acqua. Di silenzi e di cose non dette.  Di amizie fondate sui riti, sugli odori, sul ritmo dei passi fatti insieme, sul non detto che dice tutto, mentre la vita, fuori dai momenti dell’amizia, va avanti.

Mentre fuori tutto è fermo e silenzioso e bianco, dentro, tra le pagine, un’irrefrenabile onda di pensieri mi sposta dall’infanzia ad oggi e poi indietro e dinuovo avanti e mi mette davanti al fatto compiuto di cosa non mi piace e di cosa devo cambiare.

La storia mi rapisce, e sono lì con loro, con chi la vive,  abbiamo la stessa età da bambini e la stessa età da adulti. E mi riconosco in quel modo di vivere e sentirsi sempre un po’ fuoriposto, inadatta ai tempi che sono e aspiro a trovarlo, quel posto, ma lontano dal rumore di oggi.

Così le montagne che mi circondano e le parole che fluiscono e le montagne piene di neve fanno da sfondo a quello che da tempo so. Sto facendo la cosa sbagliata, stiamo facendo la cosa sbagliata, tutti. Stiamo andando verso una direzione che non porta da nessuna parte. Stiamo rincorrendo l’effimero, stiamo trascinando le nostre esistenze.

Leggiamo quello che qualcuno pensa sia di nostro gradimento, chini a testa bassa su un lavoro che ci regala brevi e progammate pause, alla rincorsa di un successo che tutti vorremmo ma facciamo finta di non desiderare. Racchiusi in banali e inutili stereopiti qualsiasi sia la nostra posizione. Pro o contro, indignati o indifferenti. Tutti catalogati in schemi mentali che non ci danno via di scampo. Anche chi fugge e cerca altro, altrove, lontano dagli schemi rientra in una categoria, quella “di quelli fuori dagli schemi”.

Senza tregua.

La storia mi porta in un posto dove per un pò di calore ci vuole una stufa a legna, per l’acqua ci vuole un pozzo. Mi porta in un paese dimenticato. Dove vorrei restare per sempre.

A volte sono i libri che ti trovano. Succede raramente, ma quando accade per un attimo tutto questo acquista un senso.

“Da mio padre avevo imparato, molto tempo dopo avere smesso di seguirlo sui sentieri, che in certe vite esistono montagne a cui non è possibile tornare. Che nelle vite come la mia e la sua non si può tornare alla montagna che sta al centro di tutte le altre, e all’inizio della propria storia. E che non resta che vagare tra le otto montagne per chi, come noi, sulla prima e più alta ha perso un amico.”

Paolo Cognetti – Le otto montagne -Einaudi

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